Che senso ha giocare tra adulti e bambini con rispetto corporeo? Perché mai restare sempre sul linguaggio della tenerezza? Chi sono tutti quei Tafac?! Cosa vuol dire distruggere dal corpo?!
Perché rinunciare all’armonia tra Umani?
Abbiamo interrogativi che mettono in discussione l’uso e le possibilità del nostro potere personale. Venti anni fa era già chiaro che nella relazione tra Adulto e Bambino ci sono crepe, ferite e grossi guai. Il trauma rompe ed interrompe la dimensione spazio-temporale corporea e psicocorporea e crea una reale frattura animica. Quando le generazioni si uniranno con empatia e rispetto, smetteremo di tramandarci questo genere di ferite umane, pesantissime e totalmente snaturanti l’individualità.
Nella difficoltà di attuare gli interventi di prevenzione - che molti affermano importanti e pochi sostengo ed accolgono - ci confrontiamo sulla cosiddette prove basate sull’evidenza. Sulla base di sistematiche review su tema della prevenzione, Il Global Status Report on Violence condotto dall’OMS (2014), insieme all’United Nations Development Programme e l’United Nation Office in Drugs and Crime, hanno identificato sette strategie per prevenire la violenza:
1 sviluppare abilità sociali nei bambini e negli adolescenti; 2 ridurre la disponibilità dell’alcool e il suo uso pericoloso; 3 ridurre l’accessibilità ad armi da fuoco e coltelli; 4 promuovere l’uguaglianza di genere per prevenire la violenza contro le donne;
5 cambiare le regole sociali e culturali che sostengono la violenza; 6 identificare le vittime, mettere a punto programmi di presa in carico e di sostegno; 7 sviluppare relazioni sicure, stabili e nutritive.
Contributi ed azioni.
Fordham: Il mio obiettivo non è quello di elaborare un sistema o una teoria, ma quello di raccogliere un certo numero di fatti e riflessioni nel tentativo di chiarire una tematica complessa ed oscura.
Molti hanno lottato costantemente per aiutare, sensibilizzare ed attuare cambiamenti e si sono scontrati con muri saldamente eretti. La realtà sembra aggravarsi e non conoscere limiti. L’abuso può essere potenziale: non si è ancora verificato, ma qualcosa induce il timore che potrà accadere; oppure è riferito, sollevando la questione di cosa fare a posteriori su una situazione esistente. Un elemento centrale è l’atteggiamento del bambino chiaramente orientato al rifiuto di parlare di questo argomento. Se è piccolo non capisce effettivamente le domande, se è già grande può dissimulare la capacità di comprendere o rifiutarsi di affrontare il discorso. Del resto lo stesso atteggiamento riguarda gli adulti. È la questione del segreto. Al di là dell’aspetto della rimozione, l’esclusione dalla coscienza di un contenuto insopportabile, mi riferisco a qualcosa che riguarda più il nucleo familiare nel suo insieme che un singolo componente di esso e che a varie forme. (...) Alcuni Bambini più di altri rischiano di subire abusi: si tratta di quei bambini che per qualche motivo non corrispondono all’immagine che di loro hanno i genitori, quell’immagine che essi hanno costruito prima della loro nascita. Ai bambini si affida la realizzazione di speranze, aspirazioni e desideri e si affidano loro anche dei compiti che riguardano ciò che i genitori non credono di riuscire a realizzare nel loro spazio di vita. Ancor prima che nasca il bambino viene rappresentato nella mente dei genitori anche fisicamente, ma soprattutto la sua rappresentazione si costruisce sui compiti che essi pensano di affidargli, perché li realizzi. Tutta una serie di elementi apparentemente banali saranno fondamentali per stabilire se il bambino riuscirà a coincidere abbastanza bene con questo tipo di rappresentazione. Quando un bambino nasce da una coppia di genitori che per qualche motivo non ha una rappresentazione mentale di lui, ma di qualcuno che non esiste nella realtà, nella relazione primaria madre- bambino si crea una serie di comunicazioni che fanno sentire il bambino come se fosse solo, al freddo, in mezzo a una foresta. Successivamente questo può estendersi anche alla relazione con il padre. Su questa situazione il bambino inizia a costruire un senso di sé stesso disturbato. È stato descritto in letteratura come un senso di colpa primario, un senso di indegnità o in modi simili. Quando ciò avviene in una fase precoce, nel momento in cui il bambino è così legato alla madre e così bisognoso anche per la propria sopravvivenza fisica da distinguere appena i confini tra sé e lei, il bambino ha la tendenza ad attribuire a se stesso la responsabilità di ciò che accade, sia che si tratti di qualcosa di buono che di frustrante. Se il bambino ha un bisogno e questo non viene soddisfatto, egli si rende conto che ciò è accaduto in qualche modo grazie all’esistenza della madre, però non ha la chiara percezione di dove finisca lui con il suo bisogno e dove inizi la madre e il soddisfacimento. C’è un’area di sovrapposizione ed il bambino in parte attribuisce a sé, in parte alla madre, l’origine sia del bisogno sia del suo soddisfacimento. Se in questa epoca della sua vita il genitore non ha una rappresentazione di lui come reale, può succedere che il bambino costruisca un nucleo difettoso di se stesso, proprio perché non trova corrispondenza nella comunicazione. Mentre lui emette una comunicazione verso la madre, lei risponde rispetto alla rappresentazione del bambino che ha, che non è lui, e quindi la comunicazione non torna verso il mettente, ma va altrove. Attraverso queste risposte deviate, lui inizia a costruire un nucleo della sua identità che corrisponde a “chi non può e non riesce ad attirare amore, affetto, soddisfacimento dei suoi bisogni". A questo si accompagna un senso di inadeguatezza che può diventare senso di indegnità.
Nel caso di abuso sessuale, bambino e adulto occupano delle posizioni particolari: il bambino ha richieste di accudimento verso l’adulto, di delicatezza, di protezione dall’irruzione traumatica degli stimoli esterni, è in una posizione di tenerezza; l’adulto ha invece superato tutti questi bisogni e li ha da tempo sostituiti con impulsi, conosce l’erotismo e la generatività. La richiesta di tenerezza che il bambino fa all’adulto richiede che l’adulto sia in grado di sintonizzarsi su questo suo linguaggio svincolandosi dall’erotismo. Se l’adulto in passato ha subito un abuso, non può riuscire a liberarsi da quella emozione traumatica e vive la situazione che si sta verificando come analoga a quella passata, nella quale egli era il bambino e l’adulto non fu in grado di rispettare la sua età e il suo linguaggio, esponendolo a un’esperienza che non potè superare.
È molto differente la situazione di un abuso rappresentato dalla violenza sessuale, completa, agita fino in fondo, dalla situazione delle cosiddette molestie, che può essere più pericolosa perché le molestie possono presentarsi in un primo momento come tenerezze, come attenzione affettive, come vicinanza, prima di cominciare a trasportare la passione e diventare intensivamente traumatiche. Più degli atti materiali che vengono compiuti è traumatico per il bambino questo impatto con la passionalità dell’adulto, che non ha strumenti per decodificare. La sensazione può somigliare all’esperienza di chi venga investito da un’onda di marea, o dallo straripamento di un fiume, qualcosa che in nessun modo sa come arginare, come prendere, che ha una sua materialità diversa da quella che è abituato a maneggiare, che lo soverchia e lo travolge, riversandosi ovunque. Il bambino prova un’angoscia sempre più forte, tanto più e piccolo tanto meno è in grado di distinguere tra la sopravvivenza fisica e quella psichica, poiché all’inizio esse tendono a coincidere e si differenziano gradualmente man mano che si cresce. Si sente come un ostaggio la cui vita è totalmente in balia di un estraneo che può fare qualunque cosa, di fronte al cui potere non si può opporre assolutamente niente di efficace per determinare quello che accadrà nei successivi direi secondi o dieci minuti.
L’unica forma di difesa che riesce a mettere in atto è identificarsi con questa persona che non conosce, cioè prendere l’aggressore e portarlo dentro di sé facendolo scomparire dal mondo esterno, sentire se stesso come aggressore. Una strategia mimetica con cui tenta di immedesimarsi nell’aggressore per indovinare e aderire il più possibile ai suoi desideri, a tutte le richieste, perché questo significa eliminare il pericolo dell’impatto distruttivo. È essenziale per la sua sopravvivenza che divenga una parte dell’aggressore, non deve sentirsi un soggetto separato che può essere distrutto. L a scissione affettiva fa parte di questo processo: un elemento fondamentale dell’evento scompare dalla coscienza e rimane inconscio, pur producendo degli effetti disturbanti. L’evento così come si è realizzato non ha una sua rappresentazione unitaria nella psiche. Nel caso del bambino piccolo, la rappresentazione psichica dell’evento non è addirittura possibile a causa della sua immaturità e dell’assenza degli strumenti necessari. Nell’assumere in sé le caratteristiche dell’aggressore, ne assorbe anche il senso di colpa, del quale egli desidera liberarsi, negandolo e attribuendolo al bambino. Se non interviene nulla in seguito, che consenta al bambino di elaborare l’esperienza drammatica, questo meccanismo identificatorio andrà a costituire la base della sua personalità, del suo carattere, e potrà riemergere in forma attiva, anziché passiva in occasioni future. (…)*
*Leonardo Luzzato (psicologo, psicoanalista SPI, consigliere onorario sezione per i minorenni Corte d’appello di Roma), Minori abusati, adulti abusanti, in Minori e Giustizia, n. 3-4, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 191-201.
Fa parte della crescita dei bambini aver bisogno di esempi adulti con cui confrontarsi, che diventano anche modelli e presenze indispensabili per sentirsi sicuri di andare nel mondo, di camminare per realizzarsi. Sembra inevitabile che abbiano bisogno di imitare per imparare ed in questa loro necessità si inseriscono tutti quegli adulti che presentano esempi così sbagliati da farli sentire "perdenti perdenti". Cosa significa?!
“Perdenti perdenti” sono i bambini abusati sessualmente che hanno avuto la sventura dopo l'abuso di impattare con un sistema di servizi o di istituzioni giudiziarie che ha subito inquadrato il caso come falsa accusa. Andrea Cammarata per anni da bambino ha subito abuso sessuale assieme alla sorellina più piccola da parte del padre, un professionista siciliano molto stimato. Andrea rivela l’abuso sessuale alla madre che gli crede. Ma non gli credono i giudici che lo allontanano dalla madre, la quale viene a sua volta processata per calunnia. Oggi Andrea ha scritto un libro sotto forma di lettera aperta al padre in cui racconta di come è stato ascoltato da un giudice all’età di otto anni.
“Mi fecero aspettare tutta la mattina prima di essere ricevuto, poi finalmente entrai da solo in una stanza dove si trovavano due persone: il giudice e probabilmente il cancelliere che scriveva il verbale. Questo giudice era cattivissimo e pieno di riserve mentali. Iniziò ad interrogarmi con l’aria di chi ha di fronte un criminale: io non feci altro che dire, con la semplicità che può avere un bambino a quell’età, i fatti che riguardavano me e te papà, però questo giudice continuava a ripetere che stavo raccontando frottole e mi intimava a dire la verità, ma più mi chiedeva di dire la verità più io confermavo quello che avevo da dire senza dubbi e con sicurezza. Il giudice cominciò ad alterarsi e ad urlare e io cominciai a piangere come un vitello portato al macello, ma il giudice non sembrava a vere pietà e pensando che stessi per crollare aumentava le minacce. Ricordo che ad un certo punto al culmine della rabbia il giudice staccò il crocifisso appeso al muro e me lo piazzò a pochi centrimetri dalla faccia sfidandomi tra urla e minacce a giurare davanti a Gesù Cristo che quello che avevo detto era vero. Io, senza esitazione, lo giurai e lo giuro ancora oggi, signor giudice, a trent’anni di distanza, perché per la verità oggi sono disposto a dare la vita e non mi fanno paura le sue urla, la sua insensibilità, la sua totale impreparazione, signor giudice, a gestire fatti così delicati.
*A. Cammarata, Tuo figlio, Andrea, Pendragon, Bologna, 1999, p. 23.]
Ieri i bambini abusati, non ascoltati e non presi sul serio da un sistema di servizi o di istituzioni giudiziarie che inquadravano il caso come falsa accusa, finivano quasi sempre per entrare in confusione, per ritrattare e per intraprendere percorsi di vita autodistruttivi: droga, prostituzione, disturbi mentali. Oggi in qualche caso questi bambini cominciano a trovare il sostegno di genitori, educatori o professionisti sensibili e attenti.
Bambino e Adulto sono in inter-essere: individuo e comunità, individuo e ambiente inter-sono, corpo e mente inter-sono. Ne consegue un’etica caratterizzata da una identificazione partecipe con l’alterità degli esseri e della natura stessa, da un impegno costante sui valori della consapevolezza, dell’ascolto, del rispetto della vita, dall’assunzione di un atteggiamento di responsabilità e cura nei confronti di sé e degli altri. (...) Occorre aiutare il bambino a comprendere e rispettare la propria vita emotiva come fondamento dell’empatia, occorre insegnargli ad amare se stesso non come entità isolata e contrapposta agli altri e alla natura, bensì come espressione della vita che c’è dentro di lui e della vita che, nel contempo, lo trascende. Per trasmettere al bambino un’accettazione e valorizzazione di sé in questi termini è necessario che sia posseduta dall’adulto; accettazione e valorizzazione sono qualità mentali difficili da riscontrare e da coltivare. Qualsiasi approfondito percorso di consapevolezza porta quasi sempre il soggetto a scoprire una mancanza di amore di sé e di autoaccettazione. L’amore di sé come fondamento e criterio per l’amore degli altri è un contenuto evangelico molto conosciuto ed importante ma spesso è stato travisato e dimenticato. In realtà, come scrive Pensa, “l’autoaccettazione o amore maturo di sé non ha niente a che vedere con il narcisismo. Il voler essere sempre speciali e il costante soffrire e odiare per non essere mai abbastanza speciali sono cose che abitano al polo opposto dell’autoaccettazione- amore di sé." (...)
La capacità di sentirsi degni di Amore per il semplice fatto di vivere è difficile da provare perché non ci è stata tramandata per cultura e per generatività. Spesso nasciamo in famiglie che non hanno questa eredità di valore e che non sanno conquistarla. Di conseguenza, il piccolo che sta crescendo si trova a percepire un disvalore sentimentale e non ne comprende i motivi. Tra Adulto e Bambino c’è asimmetria di potere personale e di valore sentimentale. Non possiamo pensare che loro abbiano gli stessi doveri che noi abbiamo nei loro confronti proprio perché qui è soprattutto la nostra capacità creativa e progettuale di coinvolgerli nella rete morale delle relazioni che conta, che è importante. Il bambino come fine in sé significa che il nostro atteggiamento come genitori, ma anche come società, come istituzioni, deve puntare a forme che tutelino la crescita. Non la sola integrità. Non si tratta di intervenire dopo che l’abuso è stato commesso, non si tratta di intervenire a tamponare una situazione in cui si è verificata una serie di violazioni dei doveri primari nei confronti del bambino, una situazione di violenza, di inadempienza, di trascuratezza, di abbandono e via dicendo. La tutela dell’integrità e la promozione della capacità di crescita del bambino, fanno parte di questa modalità attiva del rispetto. (...) Resta quindi come unica percorribile la strada del legame e della conoscenza. Del legame forte che salda l’uno all’altro, Bambino e Adulto, dando all’uno la possibilità di sperimentare l’appoggio e il senso di protezione della dipendenza sana, e all’altro l’opportunità di sperimentare la propria capacità di sostenere un intenso legame di protezione e di sostegno alla crescita.*
*Claudio Foti (Psicologo direttore del centro studi Hansel e Gretel, Torino), L’ascolto dell’abuso e l’abuso dell’ascolto, in Minori Giustizia, n. 2/2991, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 141 - 154.
Dai dati raccolti emerge che attuare strategie ed azioni concrete per prevenire gli abusi di potere adulti sull’infanzia è ancora una difficilissima realtà, al limite del pensiero utopico. Esistono ipotesi di intervento, molte sono programmazioni di cura in atto; tuttavia, qualcosa che non sia una programmazione od un progetto capace di trasformare la base sociale e culturale, non c’è. Manca la possibilità di confrontarsi in gruppi aperti a riflessioni e trasformazioni civiche concrete, senza bisogno di entrare nel terreno della psicoterapia o dei contesti forensi. Manca l’apertura di parlare di questo come di altre reali, struggenti problematiche dell’umanità. I motivi sono contenuti nelle radici stesse della piaga sociale. Sappiamo che un minore violato produce per l’adulto un tipo di potere che, se esce dalle mura domestiche e si espande a livelli ultranazionali, diventa un potere finanziario ed economico. Monsignor Monni ha ben tracciato le dinamiche dei traffici sui minori in L’arcipelago della vergogna.
L’abuso all’infanzia è divenuto, nel giro di pochi anni, un vero e proprio crimini organizzato ad opera di pedofili professionisti. Per loro è abbastanza agevole pescare le vittime tra quella fascia di bambini poco protetti, e quindi più accessibili, che appartengono a contesti sociali degradati che ora comprendono anche i tanti minori presenti in Italia, con o senza genitori. É prosperata una forma di pedofilia che non risponde soltanto alle soddisfazione degli istinti perversi di singoli abusanti, ma che è vero e proprio business, forse molto più remunerativo di altri, visto che la materia prima è a buon mercato; al massimo c’è da pagare qualcosa ai genitori, poveri disgraziati, compimenti per miseria ed ignoranza. Pertanto non ci troviamo solo di fronte ad una attività criminale delle più sordide e ripugnanti, ma anche ad una delle più lucrose che sarà molto difficile contrastare. É davvero inquietante rilevare come questa nuova criminalità si stia omologando con la criminalità mafiosa e come nella dinamica degli eventi si presentino delle costanti comuni ad entrambe, e per il modo in cui avvengono e per come sono riportati dai media. (...) Frequentissimo lo "sdegno", ma non verso i criminali accusati, bensì verso chi si permette di denunciarli. Non sono criminali, sono "persone meravigliose", dedite all’altruismo e al compimento del loro dovere... Con queste argomentazioni vengono protetti tanti preti pedofili e numerosi politi in odore di magia che svolgono un tranquillo ruolo istituzionale. In entrambi i casi si protesta vivacemente, si grida alla congiura di avversari politici, a strumentalizzazioni mafiose. Sono i bambini che si inventano storie inesistenti...
Poi si arriva ai processi dove, nonostante l’inasprimento delle pene introdotto con le ultime leggi nelle specifiche materie, i pedofili, come i mafiosi, se la cavano spesso con assoluzioni; non ci sono sufficienti prove della loro colpevolezza. Succede infatti che, di fonte alla forte ostilità dell’opinione pubblica e alla consapevolezza del difficile percorso esistenziale che lo aspetta, chi aveva prima denunciato, ritratta.
Nel frattempo l’opinione pubblica dimentica e si sopisce, pronta a risvegliarsi al successivo episodio, di fronte al quale ripeterà esattamente le medesime dinamiche. Se un pedofilo reitera il reato, allora , di nuovo ecco accendersi un piccolo fuoco: "Come mai sta fuori? Dovrebbe essere condannato a morte o almeno all’ergastolo o alla castrazione chimica!"
Poi di nuovo silenzio. E intanto la pedofilia si struttura meglio per assicurarsi continuità. (...) Così, tra l’indifferenza e lo scetticismo, impareremo a "convivere con la pedofilia". Come dobbiamo imparare a "convivere con la mafia" (è stato autorevolmente enunciato), che capillarmente è entrata nel tessuto sociale e non è più sradicabile. A meno che...a meno che non si vadano ad intaccare interessi e collusioni a livelli altissimi che produrrebbero un vero terremoto economico, sociale e politico che a molti non piace. Probabilmente anche intorno alla rete dei pedofili si sono creati grossi interessi economici e collusioni a vari livelli. E così i pedofili si moltiplicano e si sentono sempre più forti ed autorizzati ad esercitare "libertà sessuale". Intanto prospera il mercato della diffusione, produzione e vendita di materiale; compaiono nuovi siti specializzati. Forse solo il turismo sessuale degli italiani che andavano all’estero... sta subendo un calo, visto che è così facile servirsene in Italia.
E i bambini...? La loro psiche e le loro vite devastate? Basterà fare la faccia sdegnata o, in alternativa, incredula.*
*Rosa Giusti (psicologa, psicoterapeuta già giudice onorario del Tribunale per i minorenni di Bari), Il business della pedofilia, in Minori Giustizia, n.2, Franco Angeli, Milano, 2006, pp. 142-144.
Gli autori sostengono molti punti ti vista per cogliere i punti salienti di questo dramma umano che diventa sempre tragedia perché, alla base, i bambini sono ascoltati ed osservati per dare soluzioni al loro benessere materiale, non interiore né spirituale. La cultura italiana ed occidentale è concentrata politicamente e socialmente su cosa mangiano, dove dormono, quanto studiano, cosa vogliono e non su come stanno, quali sogni hanno, cosa pensano degli adulti che li circondano e chi diventeranno. Una percezione erronea dell’infanzia continua a sostenere il rischio che la stessa sia oltraggiata. Sicuramente non per mancanza di conoscenze o di stimoli culturali. Forse, per ipocrisia?
L’illusione relativa alla comunità umana globalmente buona ed amorevole nei confronti dei suoi cuccioli crea forme di illusione che contrastano una conoscenza realistica del fenomeno dell’abuso. Resta ancora ignorato il principio spirituale che niente ci appartiene e
che, dunque, il bambino non è proprietà di nessuno. Appartiene a se stesso e alla vita che esiste dentro di lui.
Possibili atteggiamenti distruttivi adulti.
Aristotele: La virtù è in nostro potere, al pari del vizio, poiché quando agire è in nostro potere è in nostro potere anche non agire.
Esiste una confusione generazionale, denominata confusione delle lingue, che fa riferimento all’incomprensione sentimentale ed affettiva che può generarsi tra genitori e figli, tra adulti e bambini. Spesso gli adulti non afferrano ciò che per i bambini è chiaro ed evidente, reale e tangibile. Psicologicamente è un termine preciso nato per distinguere quanto il linguaggio tenero e sognante dell’infanzia niente abbia a che fare con il voluto linguaggio della passionalità adulta che può sconfinare e danneggiare.
Tornando all’origine, questa relazione di mancata comprensione è da ricercarsi dentro di noi, tra il nostro bambino interiore e l’adulto che siamo diventati. Per sanare questo divario occorrerebbe recuperare la memoria emozionale e spirituale, la storia dell’infanzia. La conclusione di W. Reich è che l’Uomo sia semplicemente spaventato senza misura dallo spettacolo della vitalità e che corra ai ripari per ridurlo a ragione:
Non si soffoca la natura di un bambino solo per adattarlo a un determinato stato o a una chiesa o a una civiltà; questa è una funzione secondaria. In primo luogo è il terrore che prende l’uomo corazzato quando si trova di fronte a qualsiasi espressione di vita a cui va imputata la responsabilità della sistematica corazzatura delle generazioni appena nate. È l’odio brutale, basato sul terrore, che regola la corazzatura del neonato.
L’impossibilità adulta di comunicare affetto e tenerezza può diventare un congelamento vitale che impedisce scelte di azioni rispettose verso la vitalità piena dell’infanzia. Un Adulto che lentamente perde spontaneità integra e naturale, perde un po’ della sua essenza interiore.
La funzione distruttiva del comportamento adulto, da cui potersi guardare nelle prime età di vita, nasconde bisogni diversi e troppo soggettivi da non potersi argomentare; tuttavia, resta ovvio che l’esercizio di qualsiasi potere prevaricante il corpo, la mente e le scelte di azioni dei piccoli è un impulso intenzionalmente distruttivo. Ci sono così tanti diversi modi di distruggere un Bambino, che ognuno diventa un evento tragico a sé.
Lo psicologo americano Daniel Goleman, famoso per i suoi studi sull’intelligenza emotiva, crede che sia l’assenza di empatia che origina qualsiasi prevaricazione distruttiva. Nell’infanzia, il pensiero emotivo è alla base delle organizzazioni cognitive ed in tutte le età successive resta una componente indispensabile per comprendersi comunicando. È un pensiero che muove, che fa vivere e che spinge ad agire, consentendoci di riconsiderare i nostri comportamenti e di fare il meglio per soddisfare i nostri bisogni senza prevaricare quelli altrui.
Dal suo punto di vista, la vita senza empatia è un tratto comune di stupratori, di molestatori di bambini e di molti individui che scaricano la propria violenza sui familiari. L’insensibilità verso il dolore di chi stanno oltraggiando, consente a questi soggetti di mentire a se stessi, incoraggiando così il proprio comportamento. Nel caso degli stupratori, la menzogna sarà: “Le donne vogliono davvero essere violentate” oppure “Se resiste, è solo perché vuol fare il gioco duro”. Nel caso dei molestatori “Non sto facendo del male alla bambina, sto solo dimostrandole amore”. Nel caso dei genitori fisicamente violenti con i figli: “Non è che disciplina”.
Queste autogiustificazioni sono un campione tra quelle che individui in cura per questi problemi riferivano di aver detto a se stessi mentre brutalizzavano le loro vittime o si preparavano a farlo. In questi individui, la cancellazione dell’empatia fa parte di un ciclo emozionale che precipita i loro atti crudeli. Il ciclo inizia quando il molestatore si sente in qualche modo turbato: in collera, depresso o solo. Questi sentimenti possono essere innescati anche dalla vista di qualsiasi evento esterno in cui altri sono e si dimostrano felici, realizzati e liberi. Il soggetto in questione è impossibilitato ad accettare empaticamente la libera felicità di qualcun altro ed inizia a cercare sollievo dai suoi pesi interiori mobilitando intenzioni perverse ed oltraggiose. Prima o poi, le realizzerà. La depressione e la solitudine possono tornare ancora più forti e lui inizierà ad agire autogiustificandosi anche con lo scoprirà. Agirà dal distacco emozionale alla lesione, attraverso uno stato mentale freddo e calcolato in cui le anomalie fisiologiche sostengono tutto, dando forza ad una brutalità fredda e sistematica, manipolatoria.
La mancanza di empatia dovrebbe perciò essere considerata con gli altri fattori psicologici, economici e sociali, culturali ed ambientali-urbani. Le inclinazioni biologiche, che determinano diversi tipi di azioni, sono plasmate dall’esperienza personale e dalla cultura, a cui si aggiungono la conoscenza razionale e la vita della mente emozionale. Secondo Goleman, quando sappiamo che qualcosa è giusto con il cuore, la nostra convinzione è di un ordine diverso - in qualche modo, è una certezza più profonda - di quando pensiamo la stessa cosa con la mente razionale. Il loro rapporto nell’organizzazione mentale prevede le funzioni del sentimento che accomuna la vita dell’adulto e quella del bambino.
Quanta sentimentalità nel periodo dell’infanzia non è stata sostenuta e valorizzata con equilibrio? I desideri di affetto, di riconoscimento e di approvazione del piccolo possono generare errori di valutazione verso gli adulti con cui è in contatto e da tali errori possono nascere situazioni di pericolo, in svariati luoghi. Dall’altra parte, è solo attraverso la logica del far paura che un adulto, completamente ignorante del grande potere benefico dell’infanzia, può aderire al mal- potere. Anche per questo motivo, tutte le correnti spirituali che per fortuna si sono create negli ultimi tempi, confermano che occorre restare fuori dal circuito della paura, trasformando così tanto se stessi da riuscire a non lasciarsi invischiare in questa energia così troppo usata.
Ci sono tipi di contatto che possono essere evidenti oppure nascosti, intenzionali oppure inconsapevoli e addirittura ambivalenti. Spesso la persona che vuole abusare dona qualcosa in cambio di un corpo, fa promesse vane ed ingannevoli per costruirsi un varco di fiducia attraverso la vulnerabilità del minore.
Il Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) documenta ogni anno la prevenzione delle violenze sui minori e ricorda che il maltrattamento è considerato una priorità nella maggior parte dei paesi europei, tuttavia solo alcuni di questi hanno destinato risorse adeguate alla sua prevenzione. L’Italia fa parte purtroppo di quei paesi che non hanno investito risorse in maniera sistematica su questo aspetto: sembra che non attui un monitoraggio sistematico sulle situazioni e non possieda un sistema di raccolta dati a livello nazionale.
La prima ricerca epidemiologica in Italia (Cismai, 2015) oltre ad individuare quasi centomila bambini e ragazzi in carico ai Servizi Sociali per maltrattamento, evidenzia un dato preoccupante: i Servizi intervengono soprattutto quando i bambini sono già cresciuti (54 su 1000 tra gli 11 e i 17 anni) confermando “quanto noto da tempo nel nostro Paese, dove emerge uno scarso sviluppo dei servizi per la prevenzione precoce del maltrattamento”.
Nel 2016, in Italia, 5383 minori sono stati vittima di violenza: 15 bambini ogni giorno subiscono maltrattamenti. Un dato che registra un incremento del 6% rispetto al 2015. Ogni anno, nel nostro paese, quasi 1000 bambini vengono abusati sessualmente. La grande parte di questi reati avviene tra le pareti domestiche. 1618 sono le bambine e i bambini che subiscono violenza in famiglia: abuso di mezzi di correzione, eccessi di disciplina, percosse. Violenze così gravi da costringere al ricorso del pronto soccorso dove scatta la denuncia degli operatori e il reato entra nelle statistiche. Ciò conferma che stiamo osservando solo la punta dell’iceberg e che la vera portata del fenomeno della violenza sui minori resta ancora da individuare.
La realtà è che non siamo in grado di dire quanti siano davvero i bambini vittima di questo fenomeno che si consuma spesso dentro le mura di casa. Così come non siamo in grado di valutare quante siano le madri e i padri, quante le coppie e le famiglie che non sono nella condizione, se lasciate da sole, di far fronte all’impegno costante che l’educazione e l’accudimento dei figli richiede. Accade però troppo spesso che sia la cronaca a rendere palpabile l’isolamento nel quale un numero elevato di famiglie vive, quasi separate dal resto della società che non ascolta, non vede e non si ferma nemmeno dinnanzi ai segnali che un bambino invia con il suo corpo, con un disegno o con un com- portamento non abituale rivelatori del disagio in cui vive.
Rarissimi sono gli interventi che possono davvero incidere nella necessaria prevenzione dei danni da maltrattamento anche se sappiamo che gli interventi di cura non possono corrispondere alla sola risposta. La prevenzione resta il primo obiettivo a contrasto della violenza sui minori, così come l’OMS raccomanda e così come gli stessi operatori dei servizi mettono in evidenza.
Non solo: è attraverso la prevenzione che si può meglio intervenire nel tessuto sociale del paese con minori costi e maggiori benefici.
È solo attraverso un investimento sul futuro dei più piccoli che garantiremo a tutti un futuro migliore. Secondo Andrea Bollini, (Consiglio direttivo della Commissione Scientifica sulla prevenzione del maltrattamento) sono 2,2 miliardi i bambini e i ragazzi nel mondo e circa 1 miliardo è vittima di una forma di violenza fisica, psicologica o sessuale. In Italia sono quasi 10 milioni e i casi stimati di maltrattamento sono circa 900.000 (indagine 2015 dell’Autorità Garante Nazionale Infanzia, Cismai e Terre des Hommes). Il costo del maltrattamento all’infanzia è di circa 13 miliardi l’anno per il nostro Paese (indagine 2014 svolta da Università Bocconi, Cismai e Terre des Hommes). Da testi neuropsichiatrici appare che l’abuso sull’infanzia è un problema di tutti, è all’interno della realtà relazionale di ciascuno. Non si riferisce a frange o a gruppi isolati di bambini, colpisce la maggioranza di loro. Non attiene alla patologia, alla perversione o alla malattia mentale, nelle sue forme meno visibili, riguarda la popolazione normale. Non si tratti di cogliere l’evento patologico, raro, particolare, insolito ma ciò che avviene tutti i giorni nelle famiglie e nelle relazioni comuni, che produce gravissimi e numerosissimi disagi alla maggioranza della popolazione. Anche se l’abuso sessuale, sovente, è frammisto ad altre forme di violenza, come i maltrattamenti fisici e la trascuratezza grave, e viene identificato in seguito.
Ultimamente, da più parti si notano reazioni di protezione verso i bambino e si affermano a gran voce i loro diritti. Dobbiamo arrenderci all’evidenza dei fatti e accettare, convincerci, che l’abuso sessuale verso i bambini è molto più frequente di quanto siamo disposti ad ammettere. Secondo il National Center on Child Abuse and Neglect, in America i casi sui minori di dodici anni negli anni 1979-1980 sono stati 17.880: più di 2.000 avevano meno di cinque anni ed in più di metà l’atto era di gravità estrema. Di solito l’abuso inizia prima degli otto-nove anni ed in alcuni casi si protrae anche dopo i venti anni.
Erickson suggerisce che il bambino, solo quando ha completato il suo sviluppo, possiede iniziativa, autonomia e fiducia. Se l’abuso avviene prima che questi passi siano completati, il bambino non è in grado di capire le dinamiche sottese alle avance sessuali. Molti abusanti accusano di essere stati provocati, in qualche modo sedotti. Anche in questo caso non possiamo pensare che il bambino sia capace di dare il proprio consenso; il potere decisionale dell’adulto è decisamente maggiore. Alcuni sostengono che molestare sia sinonimo ed espressione non di bisogni sessuali ma di personali problemi irrisolti: ricerca di riconoscimento, accettazione, volontà di dominare e controllare, sentirsi più a suo agio con un soggetto immaturo. Le strategie usate sono diversissime ma è sempre violenza. Sembra che gli iniziatori di atti sessuali nei confronti dei minori siano spinti da tre motivazioni di base: cercano tenerezza, esercitano un potere, sfogano impulsi sadici, innestano strategie basate sulla gentilezza, sulla seduzione, sulla complicità o sulle minacce; umiliano ed infliggono dolore per proprio piacere.
La psicologia del profondo sostiene che il mondo esteriore e quello interiore si riflettono l’uno nell’altro. Se l’epidemia delle violenze riflette il nostro atteggiamento verso il bambino che è dentro di noi, allora dovremmo chiederci cosa si nasconde dietro il desiderio di molestare questo bambino interno ed esterno.
Il silenzio e la negazione legittimano molte forme di violenza e si può dedurre che il potere sociale degli adulti abbia ostacolato, inibito e rallentato la conoscenza e l’accettazione della realtà dell’abuso.
Alice Miller è stata tra le autrici che ha esplicitamente condannato e smascherato le pratiche di potere che si celano dietro le pratiche pedagogiche: sostiene che molta della pedagogia contenga prevaricazioni in cui esiste un potere più o meno nascosto, incontrollato e cosciente che l’adulto esercita sul bambino e che è in buona parte tollerato dalla società. L’uso e l’abuso spirituale del minore ruotano attorno al concetto che il bambino sia proprietà dell’adulto, come nei regimi totalitari i cittadini sono proprietà dello Stato. Finché non ci sensibilizziamo alle sofferenze del bambino, questo potere dell’adulto rimarrà una normale condizione umana a cui non si presta attenzione, che pochi prendono sul serio e che resta un fenomeno soggetto minimizzazioni.
Per scoprire l’abuso ci vuole coraggio. Ci vuole coraggio ad accettare che questi fatti emergano da ricordi, da piccoli segni e piano piano si facciano strada nella consapevolezza della persona che racconta. Ci vuole coraggio quando si cerca di capirne i dati ed i segni. La mente, anche di chi ne ha sentite tante, può non tollerare di sentire un’altro di questi fatti, l’ennesimo episodio.
Molti miti si sono succeduti nel panorama delle spiegazioni relative all’abuso sessuale ed hanno attribuito la responsabilità alla madre, al bambino, alla famiglia. I miti o i fraintendimenti o gli stereotipi sono serviti ad oscurare la realtà della violenza ed hanno oscurato il ruolo dell’abusante. Tutte queste teorie non sono state capaci di cogliere la violenza nell’ambiente sociale in cui essa avviene. Vi sono stati molti tentativi di distinguere i diversi tipi di abuso e di maltrattamento, si è cercato di identificare criteri di riferimento condivisibili, nell’intento di elaborare alcune definizioni. E ogni volta si corre il rischio di frantumare una complessità che si sviluppa all’interno di una relazione, di un sistema privato e pubblico sociale.
Nel suo testo Fenomenologia del potere, Popitz afferma che la forma più diretta di potere è il puro potere d’azione: il potere di recare danno agli altri con un’azione diretta verso di loro, il potere di fare qualcosa agli altri. Nell’atto diretto dell’offesa si mostra quanto sia schiacciante la superiorità degli Uomini sugli Uomini e l’atto stesso ricorda la permanente vulnerabilità di ognuno. Con uno sguardo d’insieme ai contenuti e alle intenzioni del potere d’azione, distinguiamo tre gruppi d’azioni di potere: azioni rivolte alla riduzione della partecipazione sociale; azioni di danneggiamento materiale; azioni di offesa corporea.
Ogni azione è preceduta da un’intenzione che, a sua volta, si basa su una necessità personale. Da definizione e da esperienza, i bisogni personali mettono in atto gli impulsi (secondo la linea della gratificazione) e quando accade che un Adulto segua i propri bisogni sulla base di un desiderio di dominio ed una logica di possesso (“tu sei mio e io faccio quello che voglio per stare bene”), si crea un’attrazione alterata in cui il Bambino è sentito soltanto come un oggetto che dà gratificazione. È la congruenza emotiva: i bisogni di chi si sente “grande” attuano scelte e comportamenti alterati snaturando chi è visto “piccolo”.
La distorsione del proprio valore personale può portare a distruggere qualcun altro che è visto senza potere perché più piccolo, attraverso una visione totalmente alterata in cui l’irrisolto senso di inferiorità adulto è mascherato da superiorità organica, fisiologica, economica e sociale e rende capaci di "fare paura" per sentirsi capaci di vivere (sopravvivere).
Concretamente, tutto questo si verifica in una relazione umana e allora c’è da chiedersi che cosa, di erroneo, compia chi si trova in questa relazione alterata e dannatamente snaturante. Purtroppo esiste la codipendenza e purtroppo poca educazione durante l’infanzia è portatrice di diritti di equità e di valore.
Le differenze di potere sono determinate dalle stesse relazioni sociali.
Codipendenti sono le persone dipendenti da una relazione; pensando di essere prive di significato e di valore intrinseco in quanto esseri unici e particolari, dotati di interezza, deviano il loro senso e significato all’esterno, in una relazione. Sono definite “orientate all’esterno” e possono fare qualsiasi cosa pur di far parte di una relazione, per quanto distruttiva. L’evidente congruenza tra il ruolo femminile attribuito dalla nostra società e il comportamento co- dipendente porta a ritenere che le stesse dinamiche che sostengono lo sfruttamento e la vittimizzazione dei bambini insegnino alle donne ad essere passive ed orientate fuori da loro stesse. Insegnino a non esprimere la rabbia ed il dissenso, a non restare centrate sui propri bisogni e diritti.
La violenza sui bambini è di antica memoria ed origine. Non è assolutamente cosa recente; nel XIX sec. furono fondante Società per la prevenzione della crudeltà verso i minori. Alla fine degli anni Settanta ne esistevano 34 negli USA e 15 nel resto del mondo. Gli obiettivi erano di fare applicare le leggi esistenti, di rubricare come reato penale i maltrattamenti o le violenze sui bambini e di organizzare un sistema ispettivo di indagine sui casi di sospetto abbandono e di violenza. Nel periodo 1880-1914, secondo Harry Ferguson, fu istituito socialmente il concetto moderno di violenza sul bambino.
Anche Miller ricorda che da millenni è cosa abituale e ammessa servirsi dei bambini per soddisfare bisogni di varia natura. I bambini offrono manodopera a basso prezzo, si prestano come occasione per scaricare affetti accumulati, servono da depositari di sentimenti indesiderati, fungono da schermi su cui proiettare i propri conflitti e le proprie angosce, funzionano da protesi per una stima di sé che sia un po’ compromessa, son considerati come una fonte di piacere e di potere. Tra tutte queste forme di strumentalizzazione, l’abuso acquista un ruolo particolare, all’interno dell’ipocrisia che nella nostra società circonda ancora le questioni sessuali. Il ciclo della violenza intergenerazionale è ben documentato.
Paine e Hunt scrivono che quando una persona ha chiaramente il senso dei propri confini tra l’esterno e l’interno, è in grado di sviluppare una sana autostima di base e un senso d’autonomia. Se, invece, il bisogno del bambino di rispecchiarsi in un adulto capace di rimandare un’immagine amata e investita affettivamente viene gravemente frustrato, si sviluppano alterazioni o distorsioni dell’immagine di sé, della percezione dei propri sentimenti, dei propri confini e dello sviluppo della propria identità. I problemi dell’adulto rispetto alla sua auto-percezione e auto-accettazione, alla relazione con gli altri e alla visione del mondo possono spesso essere la logica conseguenza del maltrattamento infantile.
Per tutti i tipi di abuso (psichico, sessuale, emotivo e fisico) i danni riportati sono profondi e vasti. Perry ha studiato attentamente la risposta neurologica dei bambini sottoposti a minaccia e testimonia che se l’esperienza dello stress è continuativa, il bambino sviluppa uno stato di paura continua e in tale situazione vengono permanentemente alterate alcune funzioni cerebrali. Lo sviluppo del cervello si altera e produce cambiamenti nel funzionamento fisico, emotivo, comportamentale, cognitivo e sociale.
Durante l’infanzia il cervello, che si sta sviluppando, si organizza in risposta alla modalità, intensità e natura dell’esperienza sensoria, percettiva ed affettiva degli eventi. I cervelli dei bambini traumatizzati cambiano in modo permanente, creando memorie cognitive, emotive, vestibolari e memorie di stato, e si sviluppano in modo tale da divenire ipervigilanti e da concentrarsi sui comportamenti non verbali. Questi bambini sono in costante stato di allerta e di ansia, hanno profondi disturbi del sonno, problemi di regolazione dell’umore e dell’attenzione, anormalità nella regolazione cardio- vascolare.
Sul piano psicodinamico, ogni volta che un bambino viene abusato, maltrattato, trascurato, deve soffocare emozioni e reazioni e subisce una ferita che diventa essenzialmente inconscia. Si sviluppa in lui un senso di vuoto cronico, d’insoddisfazione, di paura dell’abbandono, d’inadeguatezza, di confusione, di difficoltà nel mantenere una buona autostima fino ad arrivare alla svalutazione auto-percettiva con attacchi verbali ed altri comportamenti distruttivi, compulsivi e impulsivi. I messaggi distruttivi che attaccano l’individuo diventano interiorizzati e insieme alla rabbia soffocata costruiscono quello che in gergo è definito “sabotatore interno”. In conclusione, si può affermare che:
1 La maggioranza delle persone ha subito qualche genere di maltrattamento nella propria infanzia.
2 Queste esperienze negative - se si sintonizzano con altre variabili come la dimensione di supporto familiare e sociale, i livelli di stress esterni - possono produrre alterazioni nell’auto percezione e nel comportamento e sviluppare una sintomatologia psicologica.
3 Spesso è fraintesa la relazione tra i sintomi del comportamento ed il maltrattamento, è ciò è il risultato dell’accettazione della cultura della violenza, delle aggressioni verbali, dello sfruttamento e del controllo sui bambini.
Molte ricerche hanno provato a tracciare un profilo di personalità che ci aiuti a riconoscere l’abusante. Sembra siano persone che preferiscono la compagnia dei bambini a quella degli adulti. Alcuni cercano lavori che li pongano in contatto con i bambini. Molti usano il loro tempo libero per stare con i bambini. Molti sono attenti a pianificare lo sviluppo della relazione per un prolungato periodo di tempo: possono usare la fiducia, i regali, le lusinghe, le promesse finché questa fiducia si sia creata. Quando c’è certezza di questa tramite l’affetto riconosciuto, l’abusante introduce il comportamento di mal-potere. Questo crea ovviamente una tremenda confusione nel bambino, così l’abusante introduce lo stratagemma del segreto: niente dovrà essere rivelato ad altri perché la loro è una relazione esclusiva (come lui/lei non gli vuole bene nessun altro!); se questo tema non basta, aggiunge la minaccia: “guai a te se....” Ecc... per cercare garanzie.
Una critica saggia (Hirigoyen, 2000) sottolinea che:
Qualunque soggetto in crisi può essere portato a usare meccanismi perversi per difendersi. I tratti narcisistici della personalità sono comuni un po’ a tutti (egocentrismo, bisogno di ammirazione, intolleranza alla critica): non sono tuttavia patologici. D’altra parte a tutti noi è capitato di manipolare qualcuno allo scopo di ottenere un vantaggio e tutti abbiamo provato un odio distruttivo e passeggero. Quello che ci differenzia dai perversi è che comportamenti o sentimenti di questo tipo sono state solo reazioni momentanee seguite da rimorsi o rimpianti. Un nevrotico assume l’unità attraverso conflitti interiori. La nozione di perversità implica una strategia di sfruttamento e poi di distruzione dell’altro, senza alcun senso di colpa. Queste persone trovano il loro equilibrio scaricando su qualcuno il dolore che provano e le contraddizioni interiori che si rifiutano di percepire. Non lo fanno apposta per ferire, ma non sanno far altro per esistere. Sono stati feriti a loro volta da piccoli e cercano di mantenersi in vita così. Questo passaggio traslato di dolore permette loro di valorizzarsi a spese altrui.
Per Groth la motivazione che porta all’abuso di potere non è di natura sessuale: è la distorsione dell’espressione identificatoria, dei bisogni di affiliazione, potere e controllo e degli impulsi ostili ed aggressivi - piuttosto che della sessualità - ciò che sottende la pedofilia.
Secondo Sgroi gli individui che abusano dei bambini non sembrano primariamente motivati da un desiderio sessuale, quanto da problemi di potere. D’altro canto, tutti i comportamenti sessuali sono accompagnati da motivazioni non sessuali: bisogno di affetto, di conferma, di considerazione. Un altro autore ha affermato che sotto l’atto sessuale si cela il naturale antico bisogno primario di sentirsi abbracciato/a. Facile, dunque, comprende quanto tutto sia complesso e delicato, non risolvibile in alcune teorie.
All’interno delle tante prese di posizioni teoriche, Malacrea (1998) riporta come l’abusante abbia costanti meccanismi di difesa: la negazione dei fatti e la mancanza di consapevolezza ed empatia. Ossia, il tale/la tale avrebbero deliberatamente e programmaticamente scelto e preparato l’abuso, ben sapendo che si trattava di un atto di potere a danno del minore. Per quanto riguarda la mancanza di empatia - di immedesimazione positiva e rispettosa e di sintonizzazione affettiva con il piccolo - sembra un dato comune ed un fatto che contraddistingue la nostra società, non solo l’individuo. Una generale indifferenza emotiva sembra accomunare molti che scelgono di non sentire più, che non hanno mai potenziato i sentimenti costruttivi e che hanno preso volutamente le distanze dalla sana affettività. Chi non sente, facilmente distrugge.
Popitz (1990) parla della sindrome della violenza totale e indica alcuni aspetti che la caratterizzano: l’esaltazione della violenza esercitata, l’indifferenza verso la sofferenza, la tecnicizzazione degli atti violenti - la loro consapevole raffinatezza. “Nessuno di questi poteri è storicamente una novità... Ogni potere ambisce alla legittimazione. La legittimazione della violenza è tipicamente accresciuta, elevata dall’esaltazione” del singolo e/o della collettività. L’esaltazione dell’atto violento significa esaltazione di una superiorità di Essere, del semplice diritto di dominio. La violenza assoluta rappresenta il massimo grado della superiorità degli esseri umani.
Nella violenza verso i bambini, l’abusante si autolegittima dicendo che è stato provocato: il vicolo cieco delle bassezze e delle miserie interiori sembra infinito e profondo, letteralmente storico, davanti all’unica certezza che resta: le conseguenze di un abuso di mal-potere ostacolano lo sviluppo del Sé ed intralciano la formazione di un carattere autonomo.
Appaiono vecchi sistemi.
Forham: Sono convinto che il Sé possa essere riconosciuto già nell’infanzia e che le sue azioni influenzino l’esperienza del bambino fin dalla nascita.
Annie Katan (1973) nel saggio intitolato Children who were raped, richiama l’attenzione sulle scarse opportunità per gli analisti infantili di analizzare bambini molestati sessualmente in età molto precoce da un adulto. L’autrice riconosce con grande intensità l’abuso sessuale subito da due sue pazienti, ritraendo in modo convincente la tragedia dei loro traumi infantili. Nel tempo, l’atteggiamento degli psicoanalisti verso il significato dell’abuso ha subito notevoli modifiche. Dopo che Freud ebbe abbandonato la teoria della seduzione, nella letteratura psicoanalitica la trattazione di questi argomenti divenne un fatto sporadico e nessuno riconobbe più tali eventi come fattori principali della malattia emotiva e dalla patologia del carattere. Ferenczi non venne preso sul serio quando rammentò agli psicoanalisti l’importanza della seduzione sessuale reale. Il rapporto Kingsey, pur indicando che il venti e il trenta per cento delle studentesse universitarie avevano subito uno stupro durante l’infanzia, modificò in maniera irrisoria i concetti eziologici psichiatrici.
Se quaranta anni fa non si scriveva molto sull’argomento e il pubblico non era al corrente della frequenza delle molestie sessuali, oggi c’è un interesse crescente per questi fatti. Anche gli analisti hanno iniziato ad occuparsi dell’abuso sessuale, dedicandovi articoli e seminari. Siamo debitori al movimento femminista per averci fatto prendere coscienza, dapprima, dell’ampia diffusione dell’abuso sessuale sui bambini (Summit, 1983). La gente comune è diventata consapevole della sconcertante frequenza e diffusione di tali fenomeni. Oggi gli psichiatri attribuiscono maggiore credibilità alle ricostruzioni dell’ abuso sessuale subito nell’ infanzia. Tuttavia, spesso trascurano di indagare il rapporto tra l’abuso e la patologia accusata dal paziente. Per comprendere e ricercare tali connessioni, si deve essere al corrente delle abitudini degli autori dell’abuso e andare a cercare quello che la seduzione sessuale ha rappresentato interiormente per il paziente nel momento in cui l’ha subita. É molto utile conoscere a fondo lo sviluppo del bambino e gli effetti dell’abuso sessuale a ogni stadio.
La violenza sui bambini è descritta anche dalla neuropsichiatria come un fenomeno preoccupante ed increscioso, diviso tra violenza fisica, psicologica, dei media, indiretta, diretta e tramite la manipolazione di immagini. Osserviamone le differenze: la violenza fisica è un’espressione di un grave aspetto della criminalità degli adulti; la violenza psicologica è caratterizzata dall’indifferenza o dalle cure eccessive e sbagliate, inizia fin dal grembo materno e prosegue ad opera prima del gruppo familiare, poi del gruppo esterno.
Il bambino è in stato di violenza anche quando si trova privato dei bisogni primari alla sua sopravvivenza, quando è esposto a malattie, quando è privato dell’istruzione e peggio ancora quando in maniera sottile e perversa gli viene detto che è per farlo divertire. Poiché la nostra personalità si struttura nei posti in cui viviamo, qui entrano facilmente segnali e rappresentazioni violente anche dai mass media: un semplice televisore, un cartone animato ambiguamente costruito ed un libro o giornale con messaggi perversi, possono già essere motivo di violenza. Sembra infatti che la spinta e l’abitudine violenta attraverso i messaggi comunicativi siano diventati un qualcosa di normale. La violenza indiretta si sviluppa proprio da simili contatti e lentamente altera del tutto la struttura mentale ricettiva del piccolo.
Il bambino vero ha invece bisogno di carezze, di abbracci, di sostegni di pensieri di amore tenero, di immagini armoniose e di tanta Natura. La sua spontanea voglia di conoscere ed esplorare lo espone a questi pericoli. Tre anni fa Anna Oliviero Ferraris ha sottolineato (Famiglia, Bollati Boringhieri, Torino, 2020 pp. 124-15, 126-133) "la tipologia clan" di alcuni sistemi familiaristici in cui vige l’affermazione del potere con mezzi che distruggono le naturali funzioni mentali dei piccoli.
Decisamente dissestante per il sistema famiglia è l’incesto. Dalla violenza carnale alle molestie cadono i confini sessuali che devono esistere tra le generazioni e l’identità del minore si confonde. Si sgretola il valore simbolico dell’istituzione. (...) L’incesto è una condizione che va ad infrangere il rapporto di fiducia nei confronti non solo del genitore abusante ma anche dell’altro genitore, la madre generalmente, che non sa proteggere ed interporsi. Negli anni infantili ed adolescenziali, specialmente se ripetuto nel tempo, l’incesto genera uno stato confusionale che interferisce con il processo di maturazione dell’identità personale e della sessualità. L’imprevedibilità del contatto lascia la vittima in una condizione di insicurezza permanente. Gli approcci che essa subisce si accompagnano alla paura di rivelare il segreto che le viene imposto attraverso minacce, ricatti o regali. L’incongruenza tra il ruolo protettivo che l’adulto abusante dovrebbe ricoprire (e continua a fingere di ricoprire) e gli approcci sessuali che mette in atto possono generare una dissociazione tra ciò che il corpo sente e prova e ciò che la mente percepisce e rielabora in solitudine. (...) Quando un evento traumatico riguardante la generazione precedente non ha potuto essere elaborato, ma è passato sotto silenzio o è stato negato o troncato, esso viene criptato sotto forma di fantasma che abita le generazioni successive.
Ma quanto è diffuso l’incesto nel nostro paese?
Poiché è un tabù l’incesto viene spesso negato, minimizzato o ignorato, ne consegue che dati certi non esistono né nel nostro né in altri paesi. A seguito della morte di alcuni bambini e di una rilevazione statistica di Telefono Azzurro, che tra il 2008 e il 2013 aveva ricevuto segnalazioni di abusi su bambini e adolescenti in quantità inquietanti in quartieri molto critici di Napoli, il Garante per l’infanzia e l’adolescenze della regione promosse una ricerca su 45 comuni della Campania. Emerse così che molte famiglie minimizzavano l’incesto e altre lo consideravano normale. Quattro volte su dieci l’abusante era il padre con la complicità silenziosa della madre non solo per i motivi illustrati in precedenza, ma anche per il fatto che lei stessa, vittima dello stesso tipo di abuso nell’infanzia, non ne coglieva la gravità. (“Giornalettismo”, 2016).
(...) Disfunzionali - ma per motivi diversi - sono anche quei nuclei che, non avvertendo alcun tipo di solidarietà nei confronti dei non parenti, sono diffidenti nei confronti di chiunque non sia un consanguineo. È una forma di disfunzionalità che li colloca ai margini della collettività. Per loro contano soltanto i legami di parentela o “di sangue”. La solidarietà asseconda le inclinazioni biologiche ma non è in grado di trascenderle, ossia di avviare forme più evolute e aperte di convivenza che comprendano altre famiglie, altri clan, altri gruppi sociali. Queste famiglie e gli individui che le compongono non sia sentono nel loro intimo cittadini né componenti di una nazione né, men che meno, si riconoscono in gruppi umani diversi dal proprio. La solidarietà particolaristica, quella limitata ai propri parenti, se vissuta rigidamente può generare una doppia morale, come è stato dimostrato da studi fatti da etnologi e antropologi sul senso di lealtà in diversi gruppi sociali. (...) La diffidenza permea ogni tipo di iniziativa pubblica. La mancanza di associazionismo e l’incapacità di agire congiuntamente per il bene comune non consentono di migliorare le condizioni di vita e condannano tutti quanti i paesani all’arretratezza economica e politica.
L’amoralità della famiglie che condividono questo tipi di mentalità emerge anche nello stile educativo. Nonni e genitori non richiedono ai nipoti e ai figli di portare rispetto agli estranei, non li abituano a rivolgere la parola a chi non fa parte della propria famiglia né si pongono il problema di educarli al rispetto della cosa pubblica o di dotarli di una morale comune. Il rispetto va rivolto soltanto ai consanguinei e le regole sono quelle del clan.
In contesti del genere la lealtà famigliare è in antagonismo con la lealtà nei confronti della collettività. Questo atteggiamento raggiunge i picchi più elevati nella famiglie mafiose, dove la lealtà verso il clan giustifica e implica azioni criminose nei confronti di coloro che non vi appartengono.
Laddove l’appartenenza di nascita è considerata un vincolo dovuto, nasce il concetto di possesso e da esso il diritto di usare "chi è nato da me, da noi". Invece, in un contesto equilibrato ed in forme di comunità sensate, è la persona stessa che sente e sceglie a chi legarsi maggiormente ed in quali modi.
É il corpo che sceglie chi avere accanto perché capace di garantire benessere, tranquillità, rispetto e serenità. Ammesso che dalla comunità umana siano stati garantiti i diritti di base alla tutela del corpo che sta crescendo.
Uno studio del CISMAI del 2019 segnala che:
Le famiglie funzionano meglio se sono sostenute. Secondo il report europeo sul maltrattamento all’infanzia, forti reti sociali e un alto livello di socializzazione sono un fattore protettivo nei confronti del maltrattamento. (...) In una revisione di come la violenza domestica impatti sulle reti informali, risulta che attualmente queste reti sono poco supportate. (...) Le comunità locali hanno bisogno di sposare una strategia che punti alla coesione e di essere dotate di buone risorse. Lavorare a livello delle comunità locali, piuttosto che avere come target le famiglie ad alto rischio, può essere più costoso e ci si potrebbe trovare difronte alla necessità di arrivare a un compromesso tra la scelta di implementare i servizi per i bambini e le famiglie ad alto rischio e quella di intervenire maggiormente sulle comunità. (...) Il lavoro a livello di comunità costruisce la resilienza delle famiglie e rinforza gli individui a muoversi all’interno di una varietà di risorse piuttosto che diventare troppo dipendenti dai servizi preposti. (...)
Ogni volta che la cronaca si occupa di violenza sessuale, sopratutto quando le vittime sono Bambini indifesi, ricomincia il coro della richiesta di “maggiore prevenzione”. Naturalmente tutti son d’accordo, ed il solito parere dell’esperto tal dei tali o del politico istituzionalmente interessato corona il dibattito e rassicura la pubblica opinione. Primo o poi, purtroppo, la cronaca porterà però all’attenzione generale altri terribili delitti e si rinnoverà il turbamento della gente e la richiesta di “prevenzione”. É evidente, prevenzione è una parola magica, di sicuro effetto perché allude a misure fondate sulla scienza e la tecnica, gli idoli della modernità. (...) Se dall’individuo si passa alla prevenzione sul piano sociale il discorso si complica ancora di più. (...) Possiamo dire che i mass media oggi esercitano sempre un’influenza favorevole per la crescita dei bambini o ci sono anche forme di comunicazione che dovrebbero preoccuparci? Penso alla pubblicità. (...) Quali istinti? Ma via, lo sappiamo bene. Giorgio Bocca in un suo articolo si chiedeva:
“perché l’osceno è talmente diffuso nella società dei consumi da essere accettato come norma? Perché è innato, non sono necessarie astuzie per imporlo e utilizzarlo...”
La comunicazione pubblicitaria fa leva sugli istinti. (...) Nelle immagini antiche i bambini, il Bambino era nudo, fragile e tenero, ma la Madre era vestita perché la maternità è protezione, sicurezza di un ruolo senza ambiguità. Per carità, gli antichi non erano bacchettoni, ci mancherebbe. Amavano raffigurare adulti, maschi e femmine, nudi o discinti, insieme a paffuti bambinelli rigorosamente nudi. Ma si trattava di puttini, di amorini, di figure mitologiche che richiamavano esplicitamente la sessualità, l’eros, l’amore senza confusioni con la maternità e la paternità, che sono un’altra cosa.
Prevenzione della pedofilia? Qualcuno ci spiegherà da dove cominciare.*Gustavo Sergio, Prevenire la pedofilia? (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minori del Veneto), in Minori Giustizia 2/2991, pp. 176-178.
In una società in cui gli abusi sessuali sui minori sono ammantate da omertà e da segreto, siamo costretti a ricordare che la violenza sui minori si ripete continuamente anche nella nostra epoca dell’effimero e del consumismo.
Una guerra contro i bambini che ha molte sfumature, molti soggetti, molti attori, parecchie forze in campo, esso va affrontato anche contro chi considera il corpo come oggetto di consumo, come merce. Bisogna però ricordare che c’é una presenza ancora già grande costituita da chi non sa, no vuole sapere, non vuole credere.
Nel mondo oltre 300 Associazioni Pedofile si definiscono culturali... L’Italia è al quinto posto per la presenza di siti pedofili, dal 2002 si è registrato un aumento del 300%. Si stima in 5 miliardi di dollari il giro d’affari dalla pedofilia on line.
La violenza che si manifesta nell’abuso e nello sfruttamento delle persone, è collegata alla forma relazionale, intima, del potere e rappresenta in un certo senso una sua degenerazione o estremizzazione. Per Arendt la violenza è soprattutto un mezzo e in quanto tale ha bisogno di un fine. Nel nostro caso il vero fine non è il sesso ma il potere sull’altro. Focault ha messo in risalto più volte che “... l’importanza politica del problema del sesso è dovuta, credo, al fatto che il sesso è alla giuntura delle discipline del corpo e del controllo delle popolazioni”.
Una violenza che è legittimata dalle rappresentazioni del potere che la criminalità produce, in rapporto con le specifiche società nazionali in cui opera, capace di alleanze ideologiche, di accettazione e in grado di assoggettare milioni di persone. Il male maggiore, anche nei casi di abuso sessuale, non è mai quello fisico; esso è accresciuto dal vissuto di annullamento della propria identità subito dalla vittima, e si aggrava quando chi sta male è circondato da indifferenza, diffidenza, disprezzo, pregiudizi. Dinamiche che scattano più spesso di quanto immaginiamo sulle vittime della violenza. (...) Se la violenza si sviluppa con l’operare dell’uomo, verifichiamo come la società moderna riesce a moltiplicare i mezzi per diffonderla, la può rendere sistematica, precisa, puntuale, di massa, finalizzata alla produzione, all’arricchimento.
Esiste una correlazione tra cultura e violenza. Se mutano i paradigmi culturali, le espressioni violente si modificano e possono aumentare o sparire. La violenza, insomma. È una manifestazione della cultura che domina un certo momento storico.” (…) *Gennaro Espostito (Sociologo, Coordinatore sociale presso l’ASL di Bergamo), L’incontro, n. 141, Marzo 2007 pp. 27-32.
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